mercoledì 29 aprile 2015

Un vecchio racconto, o almeno l'inizio


In attesa di chissà cosa, ecco l'inizio di un mio vecchio racconto, Capello Liquido, risalente a una decina di anni fa e pubblicato sul Garage di Demetrio. O almeno mi sembra. È una storia un po' complicata, con capitoli alternati che poi confluiscono nel finale. Forse qualcuno se la ricorderà.

23.03.2001 (al mattino)

Era proprio in ritardo.

Per Mario essere in ritardo era uno dei peccati più gravi, non verso gli altri, ma verso se stesso.

Già si vedeva entrare in banca, guardare desolato le panche d’attesa già piene, con persone anche in piedi e solo due impiegati agli sportelli. La mattinata era praticamente andata.

Probabilmente non era così, ma tutto il percorso da casa alla banca (fatto rigorosamente a piedi, perché trovare un parcheggio nelle vicinanze era come vincere un terno al Lotto) l’aveva trascorso ad immaginare questi scenari allucinanti. D’altra parte erano già (guardò il suo Seiko con la ghiera blu e i giorni del datario che venivano fuori da una corona all’interno dell’orologio) … le 8.35, le porte erano state aperte da dieci minuti e sicuramente oggi c’era qualche pagamento particolare per cui mezza città si sarebbe riversata in banca.

Entrando attraverso le porte scorrevoli della cabina d’ingresso cercò di non guardare verso l’interno, ma un’occhiata dovette darla per forza: non male, calcolò un quarto d’ora di coda. Dalla distributrice a sinistra prese il suo numerino: 64, tempo d’attesa: 10 minuti circa. Guardò istintivamente il display in fondo alla sala, quello che indicava quale numero si stava servendo in quel momento, e la sua ansia ebbe un attimo di sosta: 57. La previsione del numerino doveva essere quasi esatta.

Sedette e riprese, purtroppo, a far funzionare il cervello: speriamo che non ci sia un operatore – lumaca, o la solita cinquantenne che scambia lo sportello della banca per la sedia della manicure e sente il bisogno di riassumere l’ultimo mese di vita condominiale a partire dalla colecisti del maggiore Buffalino, fino alla bocciatura in diritto civile della figlia della separata del primo piano; ma si sa che questi ragazzi che rientrano tutte le sere alle due le tre, senza sapere chi frequentano … e quella povera madre che fa i salti mortali per farla studiare perché l’ex marito non vuole sganciare una lira per l’università …

Intanto nell’aria si era sparso nuovamente il dlong dal dispaly e il numero era diventato 60. Mario guardò per l’ennesima volta il suo contrassegno numerico, quasi nella speranza che qualche gnomo gliel’avesse cambiato mentre lui non guardava e che ora fosse diventato, che so, 62. Era sempre 64, però ormai c’eravamo quasi e c’era sempre la possibilità che il 61 o il 62 avessero rinunciato decidendo di ripassare più tardi.

Dlong: 61. Dlong: 62.

In quel momento entrò la guardia giurata che era fuori a sorveglianza dell’ingresso. Evidentemente, pensò Mario osservando attentamente l’espressione sofferente dell’uomo, aveva urgente bisogno di un bagno.

Dlong: 63 (sportello 5).

Vide il signore dello sportello 3 (il 62) salutare il cassiere e capì che stava per suonare nuovamente il campanello, questa volta per chiamare lui. Estrasse dalla borsa i suoi documenti, si alzò e si avviò verso la cassa. Colse il gesto della mano del cassiere che premeva il pulsante per chiamare il prossimo cliente. Stranamente non si udì il suono dal display, ma...


Ecco, cosa si udì? Il suono indistinto e leggero di un UFO che sta atterrando in sala d'aspetto? lo scoppio di una granata a frammentazione che squarcia il pavimento? l'urlo di una vecchina che, dopo aver visto l'estratto conto, scopre di non poter più dare la paghetta ai nipotini per Natale? 
Queste e altre rivelazioni prossimamente. Forse. Oppure andatevi a rileggere il racconto!
Statemi bene!

L'oste Juan 

martedì 21 aprile 2015

Eroi

Solo poche righe su quel che sta accadendo ormai da anni nel mare che separa il cosiddetto primo dal cosidetto terzo mondo.
Tanti di noi sono emigranti. Un giorno hanno deciso che l'unico modo per dare un futuro dignitoso a se stessi e alla propria famiglia, ai propri figli, era quello di emigrare.
Così abbiamo preso la nostra auto o un treno o un aereo e siamo partiti, con destinazione Italia o estero, carichi di speranze ma allo stesso tempo col cuore in gola per la paura di un futuro incerto: troverò da lavorare? La gente del posto sarà simpatica, ci accoglierà? I nostri figli avranno una scuola degna di questo nome?
Non abbiamo avuto bisogno di visti o permessi particolari (tranne casi specifici, per paesi lontanissimi), abbiamo solo deciso di partire. Nessuno ci ha cacciato da casa nostra, nessuno è venuto di notte a dirci: tu qua non puoi stare perché non parli il nostro dialetto o non la pensi come noi. Nessuno ha minacciato di morte noi e i nostri cari per qualche motivo.
Insomma è stato facile, doloroso ma facile, anche perché in qualsiasi momento possiamo tornare nella nostra terra, andare a trascorrervi le vacanze, ricevere parenti e amici che vengono a trovarci.
Non è così per la gente che sta arrivando coi barconi.
È vero che tra questi gruppi ci sono persone che delinquono, che scappano dalla giustizia, ma quanti sono gli italiani che emigrano solo per esportare la mafia e allargare il loro giro d'affari? Solo stanotte in due diversi blitz della polizia sono stati arrestate più di cento persone facenti parti di clan mafiosi. Tutti italiani.
Ma la quasi totalità dei migranti che sono arrivati, stanno arrivando e arriveranno a breve, hanno le stesse motivazioni che abbiamo avuto noi qualche tempo fa: dare un avvenire (e un presente) sicuro e umanamente tranquillo a se stessi e alla propria famiglia.
Solo che per loro non è stato facile come per noi: non ci sono permessi per emigrare, comode auto e aerei puntuali. Non ci sono parenti che vengono a salutare alla stazione.
Loro devono scappare per non morire già nella loro terra, perché lì se hai l'odore della pelle diverso da chi ha il potere, sei morto, senza se e senza ma.
Lì i bambini non possono giocare per strada, a meno che non mettano in conto che una pallottola può sempre arrivare o che possono saltare su una mina antinuomo (prodotta in Italia).
Lì le mamme non possono allattare i propri figli, perché spesso non hanno latte da dargli perché loro stesse non hanno di che mangiare.
Non è tutto esagerato, non sto gonfiando la situazione. È la realtà, basta leggere un qualsiasi giornale serio; o studiare un po' di storia.
Ieri sera ascoltavo una trasmissione su Radio24 in cui si commentano da casa le notizie del giorno. La domanda del conduttore era: cos'hai provato quando hai visto le scene del naufragio in cui sono morte 900 persone? In quei 10 minuti, tutte le persone che hanno telefonato hanno risposto: troppo pochi, dobbiamo bombardarli ancora prima che partano, sono contento, mi fanno schifo...
Questi sarebbero italiani? Quelli che da sempre emigrano per vivere?
A questo punto, penso che tra noi e i migranti, a parità di condizioni, gli eroi siano loro.

L'oste Juan

sabato 18 aprile 2015

Quel che resta (un estratto)





Un tipo col pizzetto sale e pepe e i capelli a spazzola sta sorridendo. Si gira continuamente attorno, si sofferma su ogni tavolino, ogni persona che riempie la piazza. La splendida cinquantenne che ha al suo fianco gli sfiora ogni tanto la mano.
Lui ha ormai tutto in testa il racconto che comincerà a scrivere appena potrà. Già in albergo ha il suo Moleskine e butterà giù l’inizio che conosce a memoria: - Aspetta, ancora un pezzo – dice il vocalist….
Lei, capelli scuri e lunghi sulle spalle, è assorta nella musica che ha abbassato il tono ed è quasi coperta dal brusio dei presenti e dal rombo di una grossa moto che sta ripartendo dal semaforo diventato verde sulla strada alle loro spalle. La sua infanzia, tra il mare cristallino, la sabbia bianca e le lunghe file di pomidoro rossi dell’orto a due passi dalla spiaggia, le ha regalato una pelle spessa ma vellutata, che il lavoro, nonostante tutto, non ha rovinato.
La donna alza la mano per chiamare il cameriere.
- Tu cosa vuoi? chiede a lui, mentre arriva un ragazzo col notes in mano.
- Una tisana digestiva.
- Per me un cioccolato caldo, conclude l’ordinazione e torna alla musica.
Sicuramente nel suo racconto ci sarà l’uomo con l’orologio da ragazzo e gli occhi da furbo.
E ci sarà anche la donna con la lunga cicatrice che dalla gola scende giù per la scollatura. Ci sarà perché quel segnacolo di operazione chirurgica non scalfisce la bellezza che traspare dalla serenità del suo sguardo. Sembra infatti che negli occhi accolga tutta l’umanità che la circonda e che anzi lei e la sua cicatrice siano proprio lì per dire al mondo che non tutto è corrotto, che non tutto è perduto e che la bellezza sta dentro e non fuori le cose.
C’è ancora qualcosa che fa piangere l’uomo dal pizzetto. L’assolo di Lucio ‘violino’ Fabbri in Altaloma 5 till 9, ad esempio, la Sinfonia n. 2 op. 51 Rachmaninov, e le campane tubolari di M. Oldfield. Ma anche Guccini che continua ad uscire da un’osteria per rintanarsi tra le cosce di mamma Bologna; e Fossati che trasforma ogni soffio di vento in una casa alla fine della storia.
E ora anche questo blues gli sta facendo venire l’occhio umido.
Sfiora ora lui la mano della donna che gli sta al fianco, che lo ricambia con un sorriso; lui che continua a chiedersi dopo tanti anni e tanto vivere insieme come faccia ad essere ancora innamorata di lui.

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Dal mio racconto "Quel che resta", 2009, pgg 7-8. Il racconto intero lo trovate qui.

mercoledì 15 aprile 2015

Lillo Melidoro: les jeux sont fait! (6 - racconto)


Don Alfonso ha sempre sognate una roba così!

Siamo in dirittura d'arrivo!
La quinta puntata del mio racconto a puntate (scusate, perché usare quelle cose tipo blog novel e via anglesizzandoci -senza polemica!- quando la lingua italiana è così bella e varia!? *) è scivolata via il post scorso e qui siamo alla sesta.
Forse la stesura completa del racconto è terminata, ve lo dirò la prossima volta; per ora leggete un po' qui sotto e restate pronti per il finale.
 
Lillo Melidoro: les jeux sont fait!

“Allora, Lillo, hai notizie per me?” stava chiedendo don Alfonso dall’altra parte del filo.
Lillo guardò l’orologio: cosa voleva don Alfonso Suraci alle nove del mattino sapendo che lui prima delle undici non è mai stato minimamente parlabile?
“Praticamente sì, don Alfonso, sicuramente entro domani ci possiamo sentire.” Rispose in qualche modo Lillo.
“Preferirei che ci vedessimo oggi.”
“Ma ancora… “
“Sì, lo so, me lo hai detto, ma vorrei che ci vedessimo oggi. Mi dirai tutte le novità, e se c’è da aspettare ancora vedremo poi.”
Quello che non piacque a Lillo fu il tono con cui era stata pronunciata la parola ‘vorrei’, uno di quelli che dicono: perché non ti sei catapultato qui appena hai sentito la mia voce al telefono?
Lillo doveva parlare subito con Patrizia, catechizzarla sulle cose essenziali e poi partire alla volta del Ribbon.
Compose più volte il numero dell’amante, prima in automatico e poi digitandolo direttamente, ma non ebbe nessuna risposta. Dapprincipio ci fu la segreteria telefonica, poi la gentile vocina registrata avvisava che il numero non era raggiungibile. Se voleva provare più tardi…
Non c’era molto tempo, invece, e lui doveva rischiare, andare a braccio.

*****

Don Alfonso guardò l’enorme orologio con le posate al posto dei numeri che sovrastava la porta d’ingresso del suo locale. Lillo sarebbe stato lì entro pochi minuti, ne era sicuro.
La confessione di Patrizia quella mattina l’aveva scioccato. Non per il fatto che l’avesse tradito, questo lo sapeva già, ma per chi ne fosse l’amante.
Il boss sistemò ancora una volta tutte le bottiglie dietro il bancone in ordine d’altezza, le spostò millimetricamente perché fossero un perfetto esercito al comando di un grande generale.
Il rumore della porta lo distrasse.
Aveva dato la mattina libera al ragazzo per restare da solo, ma la porta era aperta e stava entrando un cliente.
Lo servì distrattamente e sperò che se ne andasse subito. L’uomo bevve d’un fiato la consumazione ma non accennò a volersene andare. Si guardò attorno con calma, poi si rivolse al barista:
“Salve, io sono Benny.”
Don Alfonso lo guardò stranito.
“Patrizia non le ha detto niente?”
E ora che c’entrava Patrizia, dopo quello che gli aveva già confessato qualche ora prima.
“Cosa avrebbe dovuto dirmi, amico?”
“Beh, a me ha detto di venire qui stamattina, ma non so altro.”

*****

Lillo arrivò al bar nel giro di un’oretta. Il piazzale era vuoto, tranne che per una SLK argento. Era sicuro di conoscerla, ma in quel momento non era in grado fare collegamenti tra un pensiero e l’altro. Non vedeva l’ora di arrivare da don Alfonso e guardarlo bene in faccia per capire cosa era successo.
Nel tragitto da casa aveva fatto tutte le ipotesi possibili e tutte erano plausibili e tutte sbagliate.
Si fermò qualche istante prima di entrare, per ritrovare il giusto respiro, quello di un innocente ragazzo che deve riferire al suo capo su cose estremamente importanti.

*****

Patrizia dalla porta del retro vide Benny entrare e poi discutere con Alfonso, ma senza sentire quel che si stavano dicendo. Sperava che il boss non lo cacciasse prima che arrivasse Lillo: il palestrato personal trainer e amante faceva parte della sua sceneggiatura.
Finalmente la porta d’ingresso si aprì di nuovo e spuntò Lillo. Le sembrò che stesse sorridendo, ma era abbastanza lontano ed in ombra.

(... continua... )

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* Sì, lo so, ci sono diecimila variazioni sul tema di racconto, novella, novelletta, ma io sono un inguaribile terrone e vado dritto al sodo. Poi fate come vi pare e non me le triturate.
** La foto di copertina è presa da qui.

sabato 11 aprile 2015

Lillo Melidoro: les jeux sont fait! (5 - racconto)


Sì, Benny diversificava sempre i suoi interessi...
Dopo qualche post di vario genere, riecco la storia di Lillo Melidoro, che vi sto raccontando a puntate.
Qualche maligno avrà sicuramente pensato che non riuscendo a scriverne il finale, l'avessi messa da parte nella speranza che alla fine nessuno se ne fosse ricordato più.
E invece no! Il finale ancora non c'è, ma c'è questa quinta puntata.
Ormai i giochi sono fatti e siamo alla resa dei conti. I personaggi tornano tutti e tutti in una volta.
Se volete fare un ripasso, vi ricordo le puntate precedenti: primasecondaterzaquarta.
Buona lettura!


Lillo Melidoro: les jeux sont fait!

Benny spalmò l’olio vellutante profumato sulla pelle già abbastanza vellutata della Mary, ultima in ordine di tempo a stendersi sul suo lettino di personal trainer.
E non solo.
Avete notato come in queste storie le corna sono sempre il piatto forte? E che più aumenta il reddito pro capite dei personaggi più aumenta la loro concentrazione?
Ma le corna sono democratiche, e un racconto ambientato tra poveracci non cambierebbe la percentuale.

*****

Don Alfonso servì il Martini alla bionda ma non pulì il bancone come suo solito, aveva la testa altrove.
E più precisamente a Patrizia e a quello che Lillo stava scoprendo in quei momenti su di lei.
Non sapendo quello che Lillo aveva già scoperto di lei.

*****

“Cerchiamo di capirci” esordì Lillo. “Io qualcosa devo dire a don Alfonso e deve essere qualcosa di concreto, non dei bla bla rassicuranti, tu lo conosci e lo sai che non è scemo.”
“Mhmm… “
“Ti dico subito la mia idea. Don Alfonso verrà a sapere da me che effettivamente c’è qualcuno che ti segue e che, più che altro, ti da fastidio. Dirò che la tua buona fede è assicurata e fregnacce simili e che non hai mai detto niente perché hai paura della sua reazione verso questa persona, non perché tieni a lui ma perché non vuoi che la cosa diventi più grossa di quella che è.”
“Mhmm… “
Lillo si zittì, un istante, poi chiese voltando la testa:
“Non sai dire nient’altro oltre che mugugnare?”
“Aspetto di avere la brutta notizia.”
“Quale brutta notizia?”
“Quello che vuoi in cambio del mio silenzio…”
“Ti potrei dire amore eterno ed eterna fedeltà…”
Patrizia si accese una sigaretta, aspettando la richiesta vera.
“Ecco, diciamo che avrei intenzione di prendere lezioni di vela, perché sai io vengo da un posto di mare e un mio amico mi ha fatto vedere la sua barchetta. Non è niente male e mi piacerebbe averne una anch’io…”
“Quindi?”
“Quindi sarebbe bello se qualcuno mi facesse un cadeu per il mio genetliaco. O anche in qualsiasi altro giorno dell’anno.”
“Diciamo che si potrebbe fare… Dipende anche dalla cifra.”
“Ecco, così mi piaci!”
“Non ho detto sì, dipende dal…”
“Perfetto! Io ti faccio avere il depliant e risolviamo tutto amichevolmente!”
Patrizia non poteva controbattere, era con le spalle al muro.
Ma aveva una qualità: sulla strada, da dove veniva, impari che tutto non è mai veramente finito. Come diceva quel tizio: ‘rigore è, quando arbitro fischia’, e ancora l’arbitro non aveva fischiato definitivamente. I minuti correvano implacabili, ma il novantesimo non era ancora scoccato.

*****

A volte, anzi spesso, l’impazienza fa brutti scherzi, e Lillo era preso ormai dalla barca a vela.
Quando era andato quella mattina all’appuntamento con Patrizia, non aveva niente di preciso in mente e la barca era l’ultima cosa a cui avrebbe pensato; alla fine non è che fosse poi questo grande appassionato di gite in alto mare.
Ma ora che aveva fatto la sua richiesta, gli sembrava che una barca a vela fosse stata in cima ai suoi desideri da sempre, che l’avesse sognata fin da bambino e che, ora, non ne potesse fare a meno.
Cominciò a girare rivendite di barche, a consultare siti specializzati, forum di appassionati.
E quando don Alfonso, dopo un paio di giorni, lo aveva chiamato per sapere qualcosa, gli aveva risposto che era sulla buona strada e che gli restava solo da finire di pedinare una persona; poi avrebbe fatto il suo rapporto.
In effetti voleva solo che lo ‘scambio’ barca-promessa di silenzio fosse già avvenuto.
Per Lillo, insomma, la questione era chiusa.

*****

Patrizia, invece, non sapeva ancora come risolverla.
Capiva che per lei era finita e cercava solo il modo per cadere il più in piedi possibile e, soprattutto, di salvare la pelle, visto il personaggio con cui aveva a che fare.
Finché… finché un giorno non vide un film, uno di quelli stupidi che mandano in onda le televisioni private sfigate alle dieci del mattino.
Alla faccia della linea (‘tanto ormai che mi serve più’, si andava ripetendo) aveva la mano ficcata nel sacchetto delle patatine e le piaceva sentire il rumore che facevano le sfoglie mentre venivano triturate sotto i denti.
E sullo schermo una situazione comica era appena stata innescata da uno scambio di valigie alla reception di un hotel. Un classico.
Ma quella cosa dello scambio le aveva fatto accendere una lucina nel cervello: una invece di un’altra.
Oppure uno invece di un altro.
Don Alfonso non le aveva ancora detto niente e tutto sembrava tranquillo, quindi Lillo non aveva ancora riferito al boss.
Doveva agire in fretta, sfruttando la richiesta di Lillo e applicandogli la sua idea.
Doveva chiamare Benny: che le reggesse il gioco. Questa volta, pensava soddisfatta, era lei a tenere qualcuno per le palle.


(... continua.. )