lunedì 24 agosto 2015

Jack McCoy, uno di famiglia

Questo post per dire che per il prossimo mesetto sarò poco on line causa... lavoro. Per fortuna inizia la scuola e con essa (speriamo!) il lavoro più intenso per me che ho una cartoleria.
Quindi poche visite ai vostri blog, pochi post sul mio.
Sono appassionato di telefilm gialli e polizieschi e seguo da anni le varie serie Law & Order, Criminal Intent, Criminal Mind, e via nominando. Non C.S.I., almeno non le ultime serie che trovo troppo truculente e dove le scene 'insanguinate' sono troppe e inutili, messe lì solo per splatteggiare e attizzare il teleutente malato.
Tengo a precisare che non ho abbonamenti ad alcuna pay tv, quindi i serial che vedo sono solo quelli trasmesse da emittenti in chiaro; perciò niente ultime stagioni o speciali. Insomma solo quello che passa il convento; e mi sta bene così: io la televisione la guardo (e anche poco) quando mi pare, non sono il suo schiavetto.
Chi di voi si diletta di cinema e tv avrà riconosciuto nell'attore oggi in copertina Sam Waterston, divenuto famoso anche e soprattutto come il Vice Procuratore Jack McCoy nella serie Law & Order. Io lo ricordo anche in alcuni film di Woody Allen (tra cui il bellissimo Crimini e Misfatti, che per me resta il capolavoro di Allen) e in un telefilm della serie Ai confini della realtà, di cui non ricordo il titolo e che non ho voglia di andare a cercare su Wikipedia.
Ma non è questo l'argomento del post. 
Ebbene, dopo anni passati a fare il tifo per la Procura di New York rappresentata da McCoy contro i cattivi, qualche settimana fa nella mia mente si è fatta strada un'idea: Sam Waterston somiglia a mio padre.
Ora non pensate ad un sosia, ma molti dei tratti somatici di mio padre li ritrovo in lui.
Non so se sono le sopracciglia folte, i capelli bianchi, il viso squadrato e la pelle indurita sotto il mento, non so se è tutto questo nel suo insieme, fatto sta che ormai ogni volta che Sam Waterston compare sullo schermo io penso a mio padre.
Molto del mio essere chiuso, introverso, riflessivo, nasce dal rapporto con lui, e lo dico senza disturbare Freud. I miei genitori erano persone squisite, corrette, ma non hanno mai esternato un sentimento d'affetto per noi o tra di loro. Non che abbiano abbandonato noi due figli a noi stessi, ma io non ricordo una carezza o un abbraccio. Magari ci saranno stati quando eravamo bambini, ma io dovevo essere talmente piccolo da non averne memoria.
Ecco il mio ricordo di oggi. Ci sarebbe ancora molto da dire, naturalmente, su questo, ma per ora penso possa bastare così.
E voi che ricordo avete dei vostri genitori? O che rapporto avete con loro, se sono (come mi auguro) vivi?

Per finire, ecco la bellissima sigla di Law & Order del geniale Mike Post (in questa serie non c'è però Sam Waterston). 



P.S.: più guardo la foto e più rivedo mio padre, appoggiato ad un pino di Savelli (KR), dove avevamo una casa di montagna.

L'oste Juan



mercoledì 19 agosto 2015

Breve storia di Enzino (racconto)



 ... che voleva ammaestrare le pulci.
Ecco il breve racconto di cui vi avevo parlato qualche giorno fa.
L'idea è nata in treno andando a Luino, mentre leggevo Quando Teresa si arrabbiò con Dio di Alejandro Jodorowsky. Ad un certo punto tra i tantissimi personaggi sopra le righe di cui è popolato il romanzo spunta fuori un ammaestratore di pulci.
Così mi sono chiesto: ma le pulci si possono ammaestrare? So' che è una domanda senza senso, ma allora ci si potrebbe chiedere anche: le pulci esistono veramente? oppure: chi potrebbe voler fare l'ammaestratore di pulci?
E così è nato Enzino, personaggio che vive nel suo mondo dal quale, forse, non vuole uscire. La vita però la pensa sempre diversamente, quando ti stai divertendo e stai realizzando i tuoi progetti.
Insomma questo è il raccontino. Leggetelo se avete voglia e tempo e, sempre se volete, fatemi sapere cosa ne pensate.


BREVE STORIA DI ENZINO,
CHE VOLEVA AMMAESTRARE LE PULCI

Le aveva chiamate Maria Rosa, Berenice e Graziella, come le sue tre nonne.
Fino agli 11 anni non si era nemmeno mai posto il problema del perché lui avesse tre nonne e tutti gli altri due. Né in verità si era mai chiesto come mai portasse i calzoncini corti anche a scuola.
Almeno fino al giorno in cui i due occhi neri neri della ragazzina del secondo banco l’avevano fissato mentre addentava affamato la sua mela scrocchiosa. E allora aveva capito che fuori dalla sua testa esisteva un mondo che poteva essere diverso dal suo, forse più colorato o forse più monotono, ma comunque diverso.
Maria Rosa era la mamma di Cristina, sua madre.
Berenice e Graziella erano le mogli di suo nonno Nicolino.
Nicolino arrivava, spesso, alla domenica pomeriggio a casa sua e Cristina preparava il caffè e metteva sul tavolo qualche biscotto Atene in un piatto bianco che prendeva da sull’acquaio.
Non come quando arriva nonna Maria Rosa con Giuseppe, perché allora tirava fuori le tazzine e i piattini dalla credenza, quelli col bordo d’oro zecchino, preparava il the come aveva imparato non ricordava da chi (ma veniva buonissimo!), e metteva in tavola la torta che aveva preparato al mattino.
A ripensarci non aveva mai visto i cinque nonni insieme, neanche a Natale o per qualche altra occasione speciale.
Un giorno aveva pensato che, però, tutto questo non era giusto, questa disparità, ma non aveva mai chiesto niente perché capiva che erano cose da grandi.
Poi ai suoi tredici anni aveva ricevuto per il compleanno un bel dizionario della lingua italiana, con tantissime parole spiegate per bene. Appena poté andò in camera sua e cominciò a sfogliarlo con una fame che veniva dal cervello invece che dalla pancia. E d’un tratto lesse “bigamo” e capì che, forse, quella parola poteva andare bene per nonno Nicolino.
Ormai era grande, se gli avevano regalato quel bel dizionario e andava a scuola coi pantaloni lunghi come tutti gli altri, così pensò che era arrivato il momento di parlare da grande coi grandi.
Perciò una sera aspettò che suo papà tornasse da lavoro, cenasse e sedesse sulla sua poltrona di similpelle rossa.
“Papà” disse con tono il più rispettoso possibile, “perché nonno Nicolino viene qui con due mogli e nonno Giuseppe ne ha una sola?”
Suo padre lo guardò come se non avesse capito le parole che Enzino aveva appena pronunciato. Fissò il televisore ancora spento, poi diede al figlio un ceffone, ma non forte come le altre. Quindi prese il telecomando e accese l’apparecchio in tempo per l’inizio del TG delle 20,30.
Enzino capì che suo padre non ce l’aveva veramente con lui. Che per quella volta non aveva fatto nessuna marachella che andasse punita. Era solo che non gli andava di rispondere, per qualche ragione che lui non conosceva ma capiva che era importante, perché per tutta la durata del TG il suo papà non fece nessun commento, come invece era solito.
Se quella sera suo padre non ce l’aveva con nessun politico né col papa, voleva dire che la sua domanda era stata più importante.
Enzino teneva i tre animaletti, quelli coi nomi delle tre nonne, in una scatola di legno.
Quando suo cugino Giannino glieli aveva regalati si era raccomandato di tenerli bene perché, aveva detto, ogni bambino si giudica dalla cura che mette nelle sue cose. Così era andato in cantina e aveva trovato quella scatolina che poteva fare al caso suo.
L’aveva colorata con le tempere ma non aveva scritto i nomi delle tre pulci, perché gli sembrava poco rispettoso verso le nonne se qualcuno l’avesse trovata.
All’inizio passava lunghi pomeriggi a fissare le pulci, a cercare di distinguerle tra di loro, ma per quanto si sforzasse era riuscito solo a capire che due litigavano sempre, dandosi zampettate in testa l’un l’altra, mentre la terza se ne stava in disparte. Così chiamò quella solitaria Maria Rosa e alle altre due diede il nome delle mogli di nonno Nicolino, perché anche loro battibeccavano in continuazione, per ogni più piccolo motivo.
Enzino provava a parlare con i tre animaletti, però se non era sicuro che loro capissero o anche solo lo stessero ad ascoltare.
Tutti i giorni, comunque, passava un po’ di tempo con loro, ma non molto più come prima, perché ora gli studi erano più impegnativi e lo distraevano dalla missione che si era dato sin dal primo giorno: ammaestrarle per bene fino a potersi presentare in pubblico e mostrare la sua bravura.
Quando ormai era cresciuto abbastanza da perdere il diminutivo e diventare per tutti Enzo, un giorno fissando Maria Rosa, Berenice e Graziella gli venne spontanea una domanda: ma quanto vivono le pulci? Cioè: è normale che tre esserini così piccoli siano vissuti per tutti questi anni?
E si rispose che, evidentemente, la natura (di cui aveva grande rispetto) sapeva quello che faceva.
Il tempo trascorreva e i suoi sforzi di insegnare alle tre pulci a saltare a comando non davano frutti; tuttavia Enzo continuava ogni giorno a tirare fuori dalla scatolina di legno per una nuova lezione, anche se sempre più breve.
Ormai Enzo aveva la sua bella targa d’ottone sulla porta di casa, che annunciava a tutti che l’avvocato era pronto ad assistere chiunque avesse bisogno della sua perizia professionale.
Poi un giorno Berenice (o Graziella?) rimase nella scatolina quando il coperchio fu tolto, ed Enzo capì che il suo tempo era arrivato.
La prese con delicatezza, se la mise sul palmo della mano sinistra e la guardò a lungo per essere sicuro che non si muovesse più.
Allora afferrò le altre due, le mise vicino alla prima e, senza darsi tempo di pensare, batté una mano sull’altra, con forza.
Maria Rosa, Berenice, Graziella ed Enzino non c’erano più.
Gli rimase tuttavia un dubbio: le pulci possono veramente essere ammaestrate? O era semplicemente che non ne era stato capace?

L'oste Juan

lunedì 17 agosto 2015

Anch'io speravo che, tornando, avrei trovato la pace nel mondo, ma...

Non cercate di leggerci, non capisco neanche io la mia grafia!
Due sole parole: sono tornato.

Non è una minaccia né una promessa ma un dato di fatto.
E non ho trovato né la pace nel mondo né che qualcuno mi abbia fatto un generoso versamento sul conto corrente. Bah!
In verità sono qui da una settimana, ma solo ora riprendo in mano il blog.
Le ferie sono finite già da un po' e devo dire che Luino, dove sono stato, è una bellissima cittadina, molto accogliente e ospitale, nonché (che non guasta!) con ottimi prezzi affatto... vacanzieri, nel senso che si può vivere con il giusto pur trovandosi in un paese turistico.
Unica pecca: nel paese di Piero Chiara non c'è nulla che lo ricordi, se non una decina di totem abbastanza anonimi in luoghi richiamati dallo scrittore nei suoi romanzi. Una delusione! almeno per me che ero andato nella speranza di visitare, che so', la sua casa o qualche altro posto che lo richiamasse.
Nei prossimi giorni posterò un racconto iniziato a scrivere nel viaggio d'andata e terminato a Luino in un paio di giorni. Per ora non vi dico niente, se non che la foto di copertina è la minuta del testo presa dal mio notes.
Ora vi lascio con qualche foto di Luino scattata coi potenti mezzi (!!!) del mio telefonino; e si vede dalla scarsa qualità.

Un bellissimo tramonto (rovinato dalla mia foto)



Il viale alberato del lungolago superiore




 
Famiglia di papere a scuola di nuoto!



Vi stimo grandemente tutti!

L'oste Juan