sabato 21 novembre 2015

Ho perso le parole...

Il bimbo ristette, lo sguardo era triste...
L'Oxford University Press ha stabilito che la parola di quest'anno... non è una parola. Ma una 'faccina'. Evvabbè, anche stavolta me ne farò una ragione.
Mi chiederete: che c'è di male in questo? In fondo da sempre le arti museali sostituiscono le parole e ammirare, ad esempio, la "Venere" di Botticelli o la creazione della Cappella Sistina sostituisce più di mille parole.
Certamente, ma se qualcuno ha voluto che ci esprimessimo anche attraverso le parole, ci sarà un motivo.
Bene, senza voler polemizzare e andare troppo per le lunghe, senza perdermi in analisi complicate, quello che volevo semplicemente dire con questo post è che, come dice il titolo, ho perso le parole.
Ho perso, e continuo a perdere, la capacità di esprimermi perché il mondo attorno a me si esprime sempre meno con le parole e sempre più con le faccine, le espressioni idiomatiche, gli acronimi, i xhè, i ki, i nn, gli inglesismi. Abbiamo creato addirittura un social, Twitter, dove ti devi sbrigare ad esprimere la tua idea altrimenti ti tagliano. Forse per questo i giovani d'oggi hanno idee corte, smozzicate, senza futuro?

Tutta questa roba sarà anche comoda, sarà il linguaggio del domani, anzi è già il linguaggio del presente, basta leggere un giornale o sbirciare nel telefonino del vicino sul tram.
Ma io sono attaccato alle parole, che roteano in bocca un attimo prima di uscire e materializzare il mio pensiero. Quando pronuncio la parola 'giusta' viene in me un senso di soddisfazione, pienezza.
Stamattina mi chiedevo quante parole ho perso in questi ultimi anni; quante sono le parole che usavo regolarmente e di cui ora non ricordo più neanche il significato.
Da bambino, facevo ancora la scuola elementare, mi piaceva passare i pomeriggi d'estate sul balcone di casa, al fresco, a sfogliare il vocabolario. Certo quella era l'età in cui dovevi uscire al mattino e tornare con le ginocchia sbucciate alla sera, altrimenti i compagni ti prendevano in giro; in cui dovevi girare perennemente col pallone sotto il braccio alla ricerca di uno slargo in cui mettere un paio di pietre come pali e cominciare a tirare qualche calcio in attesa che ragazzino come te ti vedessero e si aggregassero a te.
Io, invece, a 7 anni avevo già la tessera della biblioteca e quando mi chiedevano cosa desiderassi per qualche ricorrenza, rispondevo sempre: un libro.
Probabilmente non ho avuto un'infanzia 'normale' e oggi ne pago le conseguenze ma mi piace così: quando guardo il mondo lo vedo forse più di testa che di cuore (e questo non è un bene!) ma mi sembra di capirlo di più.
Perché l'importante non sono le parole che usi, ma cosa ci sta dietro. Però, al contempo, per svelare quello che vive davvero in una storia devi usare le parole giuste.
Non mi dilungo, so che avete tutti cose molto più importanti da fare che assistere al decadimento linguistico e cerebrale di un povero viandante, perciò mi chiedevo: ci sono parole che usate comunemente e che oggi vengono considerate desuete? (ecco! desueto potrebbe essere una di queste!). Oppure ci sono termini che usavate fino a qualche tempo fa e che ora non pronunciate o scrivete più?
Io potrei contribuire a questa specie di WWF delle parole con termini come 'celiare', 'ristare', 'rimbrotto'.
Vi racconto un aneddoto al riguardo, prima di chiudere. Imparai il significato di 'ristare' ascoltando Guccini. Era il 1972, avevo 12 anni, e un amico mi portò un disco appena pubblicato da ascoltare: "Radici" di Francesco Guccini. Non conoscevo Guccini e ancora non mi ero avvicinato veramente alla musica; ascoltavo, e distrattamente, solo quello che mandava la TV. Quell'incontro mi aprì un mondo: ero cullato da quella musica così diversa da tutte quelle che avevo ascoltato sino a quel momento; quelle parole non restavano nell'aria ma penetravano in me fino a risvegliarmi emozioni, sensazioni. Non capivo ancora bene che quella è la reazione 'normale' che la musica e le parole dovrebbero suscitare. Quando arrivai alla fine del disco, proprio all'ultimo brano, proprio all'ultima strofa, rimasi colpito da quelle parole:

Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
e gli occhi guardavano cose mai viste
e poi disse al vecchio con voce sognante:
"Mi piaccion le fiabe, raccontane altre!"
 

Cosa voleva dire quella parola: "ristette"? Lì per lì non dissi niente, non volevo fare la figura dell'ignorante, ma appena rimasi solo corsi al mio amato vocabolario e ne cercai il significato.
Da quel giorno fui affascinato da quel verbo, "ristare", e lo uso ancora comunemente, spesso anche durante discussioni tra amici; e mi chiedo anche quante delle persone a cui l'ho detto nel corso degli anni ne hanno afferrato il senso.




L'Oste Juan
 



mercoledì 11 novembre 2015

Non ci sono più i minuti di una volta...

Banco del Mutuo Soccorso, chi? Ma come: chi!?
Lo sapevate che in 43 anni abbiamo vissuto 26 minuti in più?
Ho scoperto questa cosa per cui c'è qualcuno che dal 1972 ad oggi ha allungato, negli anni, per 26 volte un minuto fino a farlo diventare due.
Non so' perché, se c'è un motivo scientifico (ma se c'è va pronunciato come lo farebbe Gassman ne "I soliti ignioti"!) o semplicemente perché questi del National institutes of standards and technology hanno tirato a sorte e hanno deciso così.
Voi lo sapevate? 
Io no. A ripensarci, un po' mi sento preso in giro; un po' invece mi sento arretrato a pensare che succedono di queste cose e io non lo so'.
In realtà mi sento inadeguato in un mucchio di cose.
Se voglio acquistare un auto ormai devo sapere che posso scegliere tra fari allo xeno e allo bixeno; devo sapere cos'è l'ABS, l'Electric e il Sight & Light Pack, l' Ambient Light, il
Cruise control, e potrei continuare all'infinito.

Se vado a comprare un telefono cellulare (che è come quello di casa ma è senza filo e me lo posso portare anche a spasso) mi chiedono se lo voglio Quad Band o Quad Core, IPS LCD o AMOLED... 
E via così per ogni oggetto di uso quotidiano.
Io non sono proprio vecchio, ho 'solo' 55 anni che visti da un ventenne saranno pure un'enormità, ma dal mio punto di vista sono gli anni che ho vissuto, barcamenandomi tra periodi di frizzante esuberanza e altri di più pacata riflessione, mettiamola così.
E poi mi parlano di cloud, dove posso mettere tutte le mie fotografie senza limiti di spazio. Ma cos'è? chiedo. Una nuvola, mi risponde il nipotino di 10 anni. Come: una nuvola? e le mie foto stanno su una nuvola? dico. Ma sì, è un posto in cielo dove ci sono tutte le cose che tu metti; hai visto quanto spazio c'è in cielo! risponde. Ma una volta le foto si mettevano negli album per le foto e noi a casa le sfogliavamo quando fuori pioveva, d'inverno, quando in tv non era l'orario dei cartoni. Dico io. Ma ci sono sempre i cartoni in tv, vai su Boing o Cartoonito! risponde lui. 
Non è che voglia fare la figura del troglodita, qualcosina capisco anch'io, altrimenti non sarei qui a sbattere su questi tasti e a raccontarvi queste cose.
Ma è come se ad un certo punto avessi smesso di stare al passo coi tempi, come se il mio cervello si fosse saturato e rifiutato di assobire ancora 'cose'.
Io ho 'conosciuto' Kant, Hegel, Schopenauer, Croce; mi sono abbeverato alle loro opere. Oggi mi dicono che la filosofia la dettano i rapper.
Ho letto Pavese, Pratolini, Silone. Oggi devi conoscere fabiovolo e Muccino se vuoi partecipare ad una discussione anche minimale.
Qualche giorno fa un tipo sulla trentina che ha una cover band (mi ha spiegato che suonano musica di altri gruppi più famosi) ha visto il mio sfondo del desktop dove campeggiano Francesco Di Giacomo e Rodolfo Maltese in un concerto del BMS, e mi ha chiesto: e questi chi sono? meravigliato, anche perché è un musicista, gli ho risposto: quelli che hanno inventato il prog in Italia. Il prog: e che è? mi dice lui. La musica del Banco, della PFM, delle Orme, dei New Trolls... cerco di spiegare. Non li conosco, è stata la sua risposta quasi annoiata e conclusiva della discussione.
Ma non è solo questo. Non voglio fare il moralisticheggiante (anche se poi alla fine lo sono), ma sentire alcune cose, vedere alcuni comportamenti mi lascia basito. Ci sto male.
È il solito discorso: le folle osannanti che vanno dietro a personaggi dello sport e dello spettacolo anche se pluricondannati e recidivi riguardo ai soliti reati fiscali (evasione, conti all'estero), che scendono in piazza con bandiere e cartelloni per (presunte) ingustizie sportive subite dai loro amati idoli. 
Per loro non conta chi è la persona, conta quello per cui è famoso e per cui diventa la parte di loro che avrebbero voluto essere ma non sono mai diventati.
Tanto lo fanno tutti, dicono, e poi che c'entra l'evasione fiscale con un bel sorpasso a 300 all'ora?
Ma come? Io sono cresciuto con quelli che una volta si chiamavano i 'sani principi', per cui tutti possiamo sbagliare nella vita (e se non l'abbiamo fatto finora, lo faremo) ma nel giudicare e nell'essere giudicati ciò che conta è la nostra onestà, a prescindere da quel che facciamo. Una volta era ancora valida la massima di Totò che ne "'A livella" dice che la morte rende tutti eguali e che questo principio va allargato anche alla vita. Oggi vale il principio che se sei furbo e hai la faccia tosta, ma sai dare i calci al pallone o cantare in un certo modo, puoi diventare qualcuno, addirittura l'idolo dei gggiovani e meno gggiovani.
Oggi quando accadono cose brutte, anzi bruttissime, tipo omicidi per rubare pochi spiccioli, o ammazzare parenti per entrare in possesso anticipatamente dell'eredità, molto spesso i colpevoli alla domanda: perché? rispondono: perché no!
Ecco: tutte queste cose (magari non proprio gli omidici) vengono giustificate col fatto che 'fanno tutti così', che 'è normale'.
E quindi, appunto: perché no?
Non c'è una scala di valori nella nostra società. Si è 'in' o 'aut'; 'on' oppure 'off'. E tutto questo solo perché ti so stupire.
Sapete che io ho una fede, un credo religioso, ma qui non è questione di etica di un tipo piuttosto che di un altro.
Tuttavia non so di cosa si tratta.
Sono veramente fuori dal tempo? Vivo in un mondo che non c'è (magari sulla seconda stella a destra)? Ho difficoltà a capire perché rifiuto quella che chiamano la 'modernità'?
Come vedete voi la questione?
Non ci sono più le mezze stagioni e i minuti di una volta? O mi devo abituare alle cose che vedo?
E a proposito di modernità, mi hanno convinto a fare un selfie, ma mi sa che ho sbagliato qualcosa anche qui...


... che dite?

L'Oste Juan



sabato 7 novembre 2015

Sopravvissuti? O (forse) sopravviventi?

Ecco, potrebbero essere gli ultimi minuti, gli ultimi istanti e poi verranno a portarlo via.
Non so se e quando lo rivedrò, così com'è, scintillante, allegro con quel suo vociare a comando, sempre pronto o quasi a eseguire i miei desiderata, a farmi ascoltare solo le mie canzoni preferite, o a tenermi compagnia in silenzio, ad ascoltare pazientemente tutti i miei tiramenti e a non tirarsi indietro quando decido di raccontarli a qualcuno.
Gli ultimi istanti e poi qualcuno entrerà da quella porta e si consumerà, probabilmente, il dramma.
Non so quanto ci vorrà, quindi potrei essere costretto ad interrompere all'improvviso, a lasciare questa frase a metà.
Verranno a prenderlo in tarda mattinata. Ma che vuol dire "in tarda mattinata"? Le 11.00? Mezzogiorno? Le 10.30? Non lo so, il tecnico non l'ha specificato...
Ah, ma forse non mi sono spiegato bene... Questo non è l'inizio di un racconto fintosplatter-dinicchia-horrorzombie... è solo che il mio PC è malato e ho dovuto chiamare il tecnico, che verrà tra poco a prenderlo! 
E così volevo dirvelo: se per qualche giorno non mi leggerete, i casi sono due: o è normale latitanza dovuta a lavoro e/o a mia atavica indolenza, o è che mi manca l'attrezzo per bloggare.
Il tecnico ha detto che lunedì in giornata me lo riporterà, si spera riparato (lui parla di formattazione: ma sarà doloroso? per lui dico, oltre che per il mio portafoglio) ma si sa che i tecnici sono come i marinai: promettono, promettono ma non mantengono.
E così dovrò restare per duegiornidue senza PC. È vero che c'ho un vecchio tablet, ma non riesco da questo a gestire tutto il mio gestibile.
E penso che in fondo sarà anche una sfida: riuscirò a stare senza un monitor davanti a cui inebetirmi e a una tastiera da picchiare impietosamente? Riscoprirò i piaceri del silenzio digitale? Riuscirò a sentire i richiami di altre sirene (a parte quelle delle ambulanze che ogni due minuti sfrecciano davanti al negozio per fiondarsi all'ospedale che sta a venti metri da qui)?
E voi come siete riusciti a sopravvivere senza PC quella volta che... ? (lo so, nessuno di voi è digitale-dipendente, però un po' di paura, quella volta che...)
E un'ultima cosa: avete mai dato un nome al vostro PC? Lo so, è una domanda scema, ma cercate di capire il mio stato d'animo...


  
L'Oste Juan