![]() |
Se don Alfonso ti invita a pescare, non serve la canna... |
Seconda puntata delle avventure di Lillo Melidoro, calabresotto trapiantato al nord. Lui, che viene dai fasti della Magna Grecia, di Pitagora, Archimede, Filolao, Alcmeone... costretto a sorbirsi le beghe fra trote, barbari sognanti e gente che appena può mette le mani nel tuo portafoglio. Come può essere dura e beffarda la vita, a volte!
Lillo Melidoro, les jeux sont fait!
Una
telefonata l'aveva avvisato che ci sarebbe stata una partita di pesca al
circolo, come dire che don Alfonso Suraci lo voleva vedere.
L'autista
venne a prenderlo puntuale e lo scarrozzò fino al bar che era il quartier
generale del suo signore e padrone, colui che lo pagava molto profumatamente
per mettere qualche famosa firma ogni tanto e che lui ricambiava in modo così
vigliacco. Non che la cosa gli dispiacesse, alla fine, ma in fondo in fondo lui
era uno corretto, che ci teneva al rispetto e all'amicizia, un vero calabrese
insomma. E poi la cosa poteva mettersi male se qualcuno scopriva qualcosa.
Don
Alfonso non aveva l’aspetto del boss.
Occhialini
in ferro tondi, dava l’impressione più di un contabile o di un intellettuale:
avete presente Steve McQueen in Papillon?
Capelli
brizzolati e fisico asciutto, si perdeva dietro l’enorme bancone del Ribbon in the sky. A lui infatti piaceva
servire i propri clienti quando non aveva da sbrigare qualche affare. Non che
fosse uno democratico, lo sapeva bene il barista che aveva scambiato questo suo
hobby per condiscendenza verso la manovalanza e gli aveva chiesto di sciacquare
meglio una tazza sporca di cioccolato. Avevano, sì, ritrovato il suo dito
indice, ma nessun chirurgo era riuscito a riattaccarglielo.
Lillo
entrò e individuò subito il boss.
Don
Alfonso gli andò incontro e sedettero a un tavolo poco lontano dalla toilette,
da dove si dominava tutto il locale.
“Carissimo
Lillo!” esordì il boss. “Prendi sempre un rum secco?” E poi, senza aspettare:
“Un rum secco per Lillo!” ordinò ad una cameriera che stava aspettando
l’ordine.
“E per
voi?” chiese la ragazza. “Il solito?”.
“Naturalmente!”
sorrise con tutti i denti che aveva in bocca, don Alfonso. Poi rivolgendosi
all’uomo: “Allora, Lillo, come te la passi?”
“Benissimo,
anche grazie a lei. Non mi manca proprio niente, e d’altra parte cosa potrei
volere di più?”
“Bene,
bene, sono contento che tu sei contento. Perché invece io sono un po’ triste.
Quando vieni a sapere certe cose ti prende come una nausea qui” e fece segno alla
bocca dello stomaco “e continua a salirti su e giù in continuazione.”
Il boss
rimase in silenzio per qualche secondo fissando il tavolo, forse per rimuginare su quello che lui stesso aveva detto o, pensò la fifa
di Lillo, per sparargli qualche brutta novità in faccia.
L’arrivò
della cameriera con i bicchieri e le bottiglie interruppe momentaneamente la
quiete.
Don
Alfonso parve risvegliarsi. Versò da bere per tutti e due e prese in mano il
suo bicchiere. Poi cominciò a guardare attraverso il vetro il liquido avvolto
di bollicine e a far roteare il flute nella mano.
“Eh…
quanto può fare una buona coppa di spumante italiano doc in certi casi!”
Quindi
alzò il bicchiere per brindare col suo ospite.
“C’è
qualcosa che vi turba, don Alfonso? Posso fare qualcosa per voi?” chiese Lillo,
impaziente di conoscere il motivo per cui era lì.
Don
Alfonso bevve un sorso di spumante e lo guardò.
“So che
non rientra nei tuoi compiti e che, anzi, meno ci vedono insieme e meglio è, ma
in questo caso so che di te posso fidarmi più che di qualunque altro qui
dentro.”
Altra
pausa, che fece aumentare l’insofferenza di Lillo: era la prima volta che si
trovava in una situazione del genere col boss, e non sapeva come comportarsi.
Poi don
Alfonso riprese:
“Naturalmente
quello che ti dirò deve restare tra me e te, assolutamente…”
“Assolutamente…”
“Ho il
sospetto che Patrizia abbia un amante!” disse d’un fiato e sottovoce don
Alfonso.
Tutti
gli organi interni di Lillo sbiancarono e forse anche i 5 litri di sangue di cui la
natura l’aveva dotato alla nascita.
Era come
se il suo incubo si fosse avverato. E per di più non poteva reagire in alcun
modo in quel momento.
Come si
sarebbe comportato un innocente in quella circostanza? Un estraneo alla
faccenda? E di più: uno a cui un pezzo grosso, il proprio capo, stava
confidando di essere cornuto?
Perché
don Alfonso era cornuto, quella di
Lillo non era una sensazione o un’ipotesi, ma una certezza. Se non lo sapeva
lui!
Lillo, a
quel punto, andò a braccio:
“Ma… don
Alfonso… siete sicuro? Non è che qualcuno vi vuole sfottere…”
“Nessuno
si permetterebbe di sfottermi, come
dici tu, su cose come questa! Non ti pare?”
Don
Alfonso sembrava essersi ripreso e sorseggiò un altro po’ di spumante.
“Ora qui
arrivi tu. Sentimi bene. Sono sicuro che il puttaniere è uno dei miei più
stretti collaboratori, di quelli che, per così dire, ha libero accesso a
Patrizia. E nessuno o quasi dei miei ti conosce, sa’ cosa fai per me. Quindi è
più facile per te metterti dietro Patrizia e cercare di sapere cosa sta
succedendo.”
“Ma
avete parlato con Patrizia? Lei che dice?”
“E che,
vado a chiedere a lei: scusa, ma tu ti fai trombare da qualcun altro? Lo so che
sta con me perché io sono il boss, comando e ho i soldi, ma queste sono cose
che non si fanno. Non le chiedo di volermi bene, ma almeno di rispettare le
apparenze. Io ho sempre una bella femmina da scopare e da portare in
rappresentanza e lei ha tutto quello vuole! Ma a tutto c’è un limite!”
“Quindi
io dovrei tenere d’occhio Patrizia e riferire di eventuali cose strane, per
così dire?”
“Esatto,
solo questo. Poi sarò io a decidere sul da farsi.”
Lillo
guardò don Alfonso davanti a lui: in quel momento non sapeva se considerarlo un
uomo ferito nell’onore o il suo datore di lavoro.
Nonostante
sapesse bene cosa voleva dire per lui accettare quella cosa, quali conseguenze poteva
avere e tutto il resto, non riusciva a pensare ad altro che a quell’uomo, al
suo sguardo chino, agli occhi tristi e vuoti.
Non
riusciva a pensare ad altro che al fatto che può più un pelo di f… (come suol
dirsi) che un’intera organizzazione criminale.
Ma una
risposta doveva darla, e non poteva rifiutarsi, perché il boss avrebbe potuto
pensare chissà cosa, magari mangiare la foglia.
Doveva
accettare. Poi avrebbe pensato al da farsi.
“Don
Alfonso, voi sapete quanto io vi stimi e comprendo pienamente la situazione.
Anche in questo caso potete contare pienamente su di me. Ditemi cosa c’è da
sapere e io mi metterò al lavoro, naturalmente con discrezione.”
“Benissimo,
Lillo, sapevo che su di te potevo contare.”
Sembrava
essersi ripreso don Alfonso, come se condividere con qualcuno le sue ansie le
avesse dimezzate, se non fatte sparire del tutto.
“Allora
stammi bene a sentire… “
E don
Alfonso mise al corrente Lillo di tutte le cose che lui sapeva già benissimo e
che anzi conosceva meglio di lui.
E Lillo
capì che il boss era talmente vicino alla verità che tra il suo naso e la canna
di una pistola passava un piccolissimo pelo di f... .
Non gli
restava che parlare con Patrizia.
(... continua... )
Mi sento come uno che salta la fila e entra nel locale col buttafuori che gli fa il gesto di passare e si toglie pure il cappello per riverenza ;-)
RispondiEliminaPer te c'è sempre un posto in prima fila! Ma tranquillo, il finale sarà una sorpresa anche per te!
Elimina