lunedì 13 luglio 2015

L'odore dell'aria (racconto)



La testata del blog "Autori per il Giappone"
Questo racconto è stato scritto per una buona causa.
L'11 marzo 2011 un terremoto squassò il Giappone, colpendo anche la famosa centrale nucleare di Fukushima, e il mondo si mobilitò per raccogliere fondi.
Lara Manni ebbe l'idea di raccogliere in un sito racconti scritti da chiunque volesse, in modo gratuito, invitando poi il lettore a fare un'offerta a Save the Children.
Non so quanto alla fine si sia realmente raccolto, se qualcuno abbia letto il mio racconto e via dicendo; ma io ho scritto il mio col cuore e con l'anima.
So che anche Glauco ha dato il proprio contributo, almeno tra quelli che facevano (e forse ancora fanno) parte del glorioso blocco C, per usare la definizione coniata da Davide Mana.
Buona lettura.
L’ODORE DELL’ARIA



L’aria è strana, questa mattina.

Apro le persiane e l’alba abbraccia i mobili del mio salotto; un odore di attesa invade i miei polmoni quando spalanco la porta-finestra.

Ringrazio Dio, come tutte le mattine, che anche oggi il sole avvolge la mia casa; ma anche il sole è insolito, come se dovesse dare una brutta notizia.

Guardo l’orologio sul microonde.

Accendo la tele e, mentre ascolto distratto il Tg di un canale commerciale, faccio colazione.

Fette biscottate con marmellata, yogurt e una tazza d’orzo.

Sono anni che comincio così la giornata, anche se fa poco patriottico: io non sopporto proprio le verdure in salamoia.

Sento le notizie dal mondo, quelle sul traffico e poi un oroscopo mi dice quello che farò oggi: “Nezumi: la serata sarà densa di occasioni, dopo un giorno pieno di risultati positivi. Però ci vuole più impegno da parte tua che vuoi sempre il massimo ma col minimo sforzo.”

Chissà chi le scrive queste cose. A volte penso siano cicliche, anzi proprio riciclate: basta cominciare in un momento qualsiasi e andare avanti a inanellare sentenze. Poi, dopo un tot di tempo si ricomincia daccapo. Chi vuoi che si ricordi quello che gli hanno detto sei mesi prima?

L’aria però continua a farsi sempre più densa, più spessa e non è la nebbia che si accalca adesso attorno alle mura della mia casa. A quella sono abituato.

Spazzolo i denti come mi ha insegnato il dentista, mi lavo, mi vesto, controllo se in tasca ho tutte le chiavi che mi servono oggi: casa, macchina, ufficio.

Se è tutto OK posso andare. Anzi posso già anche tornare, perché le cose, da ora in avanti, avranno vita a sé, indipendentemente dalla mia coscienza e volontà.

Potrei anche starmene fermo sul soffitto a guardarmi vivere; tutto andrebbe come deve andare. Anche oggi sarà il solito giorno.

Il mio SUV partirà al primo colpo e mi avviserà se non avrò indossato le cinture di sicurezza. Naora, la segretaria, mi accoglierà con un “Dottore, buongiorno” accompagnato da un sorriso reduce dall’ultima sbiancatura dei denti. Poi le solite telefonate e il caffè delle dieci e trenta coi colleghi.

Intanto il SUV è partito appena ho premuto il pulsante START e un cicalino mi ha ricordato di allacciare la cintura.

Un altro pulsante fa abbassare il vetro dell’auto e una ventata di aria invade l’abitacolo. Continuo a pensare a quest’aria strana, unica nota stonata nella monotonia della giornata appena cominciata.

Ha l’odore di una donna incinta che sta per compiere i suoi giorni, se esiste un odore del genere.

Percorro il viale che porta in ufficio e dall’alto del mio fuoristrada guardo uomini e donne alle prese col loro tempo cronometrato. Cogli anni hanno imparato a guadagnare qualche secondo al passaggio pedonale, al semaforo.

Nessuno però sembra preoccupato di sentire che qualcosa sta per accadere; perché qualcosa accadrà, ne sono certo, lo capisco dall’odore dell’aria.

Il display del cruscotto mi ricorda che è venerdì, l’11 di febbraio.

Il venerdì è il giorno peggiore. Tutti alle quattordici si saluteranno; tutti si daranno appuntamento al lunedì successivo; tutti si augureranno un buon weekend. E ognuno sa che sarà identico a quello della settimana prima e anche del mese prima. Ma a nessuno importa. A nessuno passa per la testa che potrebbe fare qualcosa di diverso, di nuovo, magari anche solo ordinare un bento col pesce invece che con la solita carne, ad accompagnare il riso e le verdure sottaceto.

Ho già preso il caffè delle dieci e trenta e l’aperitivo delle dodici, un abitudine che un collega occidentale portò anni fa, e ho buttato lì un: ma non vi sembra che nell’aria c’è qualcosa di strano, oggi?

Sì, sbotta ridendo Gombei, le puzze che sgancia Kanbe! E tutti hanno riso, battendosi una pacca sulle ginocchia.

Ma io lo sento, percepisco che qualcosa si sta preparando.

“A lunedì, buon weekend.”

“Buona domenica.”

Sto lasciando anch’io l’ufficio per il fine settimana. Chiudo il portatile, lo metto in borsa e aspetto qualche secondo che arrivi Naora a salutare, come sempre.

“Arrivederci, Dottore, si diverta” ammicca dalla porta, e va via anche lei.

Anche oggi ogni cosa è quadrata, niente è andato fuori posto, tutto è stato in ordine, come i capelli della mia segretaria. Tutto tranne l’odore dell’aria.

Il viale a quest’ora è più libero e si cammina meglio.

Mi sto rilassando sul sedie avvolgente dell’auto, pronto a godermi l’inizio dei due giorni di riposo.

Dalla radio, che ho sintonizzato su un canale di classici anni 70, qualcuno ferma a metà una canzone.

“Interrompiamo le trasmissioni per un edizione speciale del giornale radio. L’Agenzia  Jiji Press ha appena lanciato un comunicato secondo cui alle 14 e 46, ora locale, un terremoto di gradi 8,9 della scala Richter ha colpito il Nord-Est del paese. Lanciato un allarme tsunami…”

Mi manca il respiro, così, all’improvviso.

Abbasso un po’ il finestrino e l’aria che entra non è più spessa e strana come è stata per tutta la giornata, oggi.

Adesso è cristallina. Sembra essersi liberata da un peso insopportabile.

2 commenti:

  1. Fu un evento tremendo. Ancora oggi, a distanza di quattro anni, la ferita è ancora aperta per il nordest giapponese, molte piccole città sono di fatto disabitate e la ricostruzione non è riuscita a riattrarre i tanti che si sono trasferiti in altre one del paese e non vogliono ritornare lì. Gli unici che sono tornati o vorrebbero tornare sono gli anziani...

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    1. penso che in fondo è sempre la Terra a guidare i giochi, a stabilire il chi come dove quando. Noi la abitiamo e fino a che non cominceremo a vivere in simbiosi con lei, daremo sempre ospiti, in questo caso 'paganti' visto ciò che succede, i danni e i morti provocati da situazioni che per la terra sono 'normali'. In questo gli indiani d'america ci sono maestri.

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