martedì 7 luglio 2015

Della Fulvia GT, grigia, e del riccio di caffè

Oggi si parla di altra Atene, ma questi erano buonissimi!
Lo devo confessare: sono molto vanitoso...
Lo dico, ma sottovoce, perché me ne vergogno.
È quasi come fosse un peccato, nel senso etico del termine; e forse lo è.
Dico questo perché i commenti di Massimiliano al mio post Le babbucce di Neil Armstrong hanno stuzzicato la mia vanità, o meglio mi hanno fatto capire che certe idee che ho in testa da un po' di tempo, e di cui ho parlato spesso in questo e nel vecchio blog, possono avere un futuro.
In particolare quella di un'autobiografia a cappella, senza accompagnamento strumentale, che tradotto dal mio sproloquio logorroico significa: fatta di soli ricordi sparsi, slegati da una storia: come tanti racconti sciolti che non fanno però un romanzo, pur essendo parte di un tutto: la mia vita.
E così ho pensato di ripostare un pezzo del vecchio blog, del lontano 2013, con altri ricordi e, forse, un altro stile.
Perché, sì, è vero: sono vanitoso!


Il tempo è diverso da quando io avevo vent'anni, oggi corre troppo veloce per i miei ritmi, fugge e mi sfugge. E mi chiedo se son io che non riesco a stargli dietro o, effettivamente, è lui che ha accelerato di brutto, nel bene e nel male. Guccini aveva appena pubblicato Eskimo e 100, Pennsylvania Avenue ed erano diventate subito la colonna sonora dei miei 18 anni.
 Io che sognavo Bologna piena di ragazzi in eskimo (io ce l'avevo verde!) che inneggiano a Marx-Lenin-Mao Tse Tung! e intanto festeggiavo il compleanno col riccio di caffè* che faceva mia madre. Il riccio di caffè era buonerrimo, non c'erano altre parole. Si stava, io mio fratello e lei, un pomeriggio intero a sbattere insieme quantità industriali di burro e zucchero col tuorlo dell'uovo, intanto che dalla moka per 12 saliva l'afrore del caffè che doveva essere fortissimo, perché poi doveva andare a sposarsi col liquore che serviva ad inzuppare i savoiardi o, in alternativa, gli Athena rettangolari. Gli Atene, sì, proprio quelli nella scatola cubica in cartone giallo, da 5 chili. Il tutto spolverato alla fine con un frullato di mandorle e nocciole a coprire. Ma, per me, senza il cacao, assolutamente!

il riccio di caffè...
Ecco, i miei 18 anni li ho festeggiati così, davanti al riccio di caffè, nella nostra casa in montagna coi parenti vicini e lontani, come si faceva una volta.
Di quel giorno mi resta nella memoria l'odore del caffè e una foto, scattata davanti al maggiolino di mio zio, con in braccio una bimbetta piccolissima, che non ricordo nenche chi fosse, e un cane che, per quell'anno, ci tenne compagnia e che poi lasciammo alle sue scorribande nei boschi quando tornammo, a fine estate, a casa.
Prima? Prima, nella mia memoria, c'è una valigia di cartone telato, a quadratini piccoli bianchi e azzurri. Quella valigia ce l'ho ancora, in cantina, piena di spaghi, la maggior parte dei quali erano di mio nonno e di mio padre, che li aveva ereditati. Sì, conservo ancora gli spaghi, di tutte le misure e di tutte le qualità: canapa grezza, sisal bianco, cotone ecrù. E so distinguere ancora quelli di mio nonno, perché lui aveva l'abitudine di bruciacchiarne le estremità, in modo che non si sfilacciassero. Oggi, se devi fare un pacco compri un rotolo di scotch avana e in due secondi, zac!, la confezione è fatta. Allora dovevi conoscere l'arte di fare il nodo, preciso e stretto da diventare non scioglibile, e piccolo quasi da non vedersi. E poi, con lo stesso spago, facevi il manico. Ma anche qui dovevai conoscerne l'arte.
Ricordo quella valigia perché l'aspettavo, il mese di maggio di tutti gli anni, quando i miei nonni ci venivano a trovare. Si andava, io mio padre e mio fratello, alla stazione a prenderli, arrivavano col rapido delle 14; mia madre restava a casa a preparare da mangiare. E io aspettavo di vedere quella valigia spuntare dalla porta della carrozza, in mano a mio nonno, che scendeva per primo dal predellino, poggiava a terra la valigia e porgeva una mano a mia nonna, per aiutarla a scendere. La valigia di mia nonna era più piccola, dello stesso materiale, ma a quadrettini marroni e neri, e anche questa ce l'ho ancora. Poi si andava tutti a casa, con la Fulvia GT grigia, quella colla leva del cambio lunghissima e il contachilometri che ruotava su se stesso.**

Un volante storico. La lucetta rossa era del freno a mano.
E io sempre lì ad aspettare che, arrivati a casa, quella valigia si aprisse e spuntasse fuori non una macchinina, una confezione di lego o qualche soldatino (per inciso: non ho mai giocato coi soldatini! forse la guerra mi faceva schifo sin d'allora!), ma una busta di plastica piena di... nespole, le nespole del giardino dei nonni! E alla fine del pranzo di benvenuto, inevitabilmente, si mangiavano quelle nespole, buonissime, col loro doppio nocciolo chiuso nell'involucro e la buccia vellutata. Quell'albero oggi non c'è più. Mio zio, che aveva ereditato la casa, fu costretto a tagliarlo per non ricordo quale motivo.*** Ma d'altra parte non ci sono più neanche i miei nonni; e neanche mio zio, un brav'uomo che si è goduta la sua breve vita, senza farsi mancare niente di tutto ciò che poteva rendergli, onestamente, migliore l'esistenza.
Stamattina, prima di aprire il negozio, sono stato in frutteria, a comprare mele e cetrioli e le ho viste: le nespole. Chissà se, oggi a pranzo, avranno lo stesso sapore di quelle dei miei nonni.
E poi... e poi, era il 1979, anzi per la precisione 29 agosto 1979, un viaggio in auto, sempre con la Fulvia grigia.
Ma questo ve lo racconto la prossima volta. Forse.


L'Oste Juan
-----------------
* la ricetta era più o meno questa, personalizzata come ogni buona cuoca sa fare.
** Quella che mio fratello ha poi usato fino all'ultimo respiro, fino a quando, ormai piena di ruggine, non si riusciva ad aprire neanche il cofano posteriore. In quale fosso riposa adesso, Giova? (aggiornamento delle 11,30: ho saputo dal diretto interessato (mio fratello) che l'auto è stata rottamata a Napoli, dopo che "qualcuno" aveva fuso il motore facendola andare senz'acqua nel radiatore. RIP)
*** Sempre grazie alla memoria di mio fratello (ma perché non le scrive lui, 'ste cose?) ho ricordato che l'albero fu abbattuto perché dovettero rifare le fondamenta del marciapiede del giardino. E ricorda ancora lui (ed io a ruota) che in quelle aiuole crescevano, tra le altre, delle piante di peperoncino rosso piccante da paura!

9 commenti:

  1. I miei 18 non sono stati speciali. A giugno tutti gli amici erano già in vacanza al mare. Io, in città perché il mare - il sole - mi sono ortogonali come le trecce di cipolle per i vampiri, ho festeggiato con i miei, e mia nonna. Un pranzo in casa, luculliano ma non molto diverso dai compleanni pre e post 18. Il regalo, tre depliant... Renault Supercinque, Fiat Uno, Ford Fiesta.
    Non fu una sorpresa, già studiavo per la patente prima dei 18, per poi fare le guide una volta raggiunta l'età, già sapevo che sarebbe giunta la macchina, perché a 16 anni mi fu detto che "il motorino no, ma poi se aspetti arriva la macchina" per cui... Fiesta fu.
    Un regalo in agrodolce, te lo dico, perché da diciottenne avevo puntato gli occhi su un'alfa GTV usata e revisionata in vendita al concessionario vicino a casa. Fu un trauma vederla sfumare in cambio di una fiestina, però ebbi le mie prime quattro ruote, non mi posso mica lamentare, no? :-)

    RispondiElimina
    Risposte
    1. per me invece il sogno era una 600. Dopo aver preso la patente, mio padre alla fine acconsentì a comprarmi una macchina, usata ma pur sempre un'automobile. Io ero fissato con una 600 (naturalmente modello vecchio!) che avevo visto dal concessionario di una mico di famiglia. C'era anche mitica HF (erano gli anni che quella macchina vinceva rally a gogo), ma capivo che era troppo per me. Purtroppo alla fine la 600 non arrivò ma fu una 500 color sabbia, con volante e cambio sportivo e tettuccio apribile in ferro! mi piacque ugualmente! magari ci scrivo un post su questa storia...

      Elimina
    2. Credo che alla fine, avere 4 ruote, era il sogno di tutti noi maschietti :-)

      Elimina
  2. Bellissima cosa pubblicare questi spezzoni di autobiografia!
    Qualche rara volta l'ho fatto anch'io nel mio blog, per esempio in occasione dei Liebster Award o nel caso dello "schizzo di sette personaggi mitici della mia infanzia", ma uno dei miei freni è la paura di "bruciare" cose che potrei utilizzare nella mia narrativa.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Certo ognuno ha le sue priorità. Ma penso anche a tutti quegli scrittori che hanno ampliato racconti in romanzi. E poi, forse, le poche righe di un ricordo servono a farlo rivivere e a dargli il giusto contesto per una narrazione più amplia. E poi non dirmi che tu non riesci a fare una cosa di queste...

      Elimina
  3. Che bei quadri riesci a evocare con le parole. Si rivede un passato che oggi è definitivamente scomparso, travolto dal consumismo e dalle nuove tendenze.
    Io invece - pensa un po' - un'autobiografia è l'ultima cosa che scriverei.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. come si dice sempre: un'autobiografia è terapeutica! aiuta a riprendere possesso della propria vita, anche di quelle cose che non vorremmo ricordare, a metterle nel giusto spazio, a dar loro il giusto risalto, né troppo né poco. Secondo me hai molto da raccontare!

      Elimina
  4. Vabbè... vengo chiamato in causa!!! Se non fosse stato per un decerebrato frate di Nonsoqualeconvento, al quale ho erroneamente prestato la macchina, raccomandandogli peraltro di aggiungere nel radiatore l'acqua contenuta in un apposito bidoncino PIENO situato nel bagagliaio, forse a quest'ora la gloriosa Fulvia grigio topo sarebbe ancora in vita. Ma non è per questo che sono diventato anticlericale. Per quanto riguarda il riccio di caffè, beh... ne ho mangiato a chili. Considerato il mostruoso dispendio di energie che occorreva per prepararlo (sbattere separatamente ogni ingrediente, e poi mescolarli e risbatterli), suppongo questo fosse il motivo per cui ero l'unico a non ingrassare. Le cose vissute bene vivranno per sempre. Amen.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. La versione del frate che spunta come il fungo nella pineta dei 4 kilometri di Savelli dopo il temporale l'ho già sentita! comunque... il riccio di caffè è patrimonio dell'umanità, sia maschile che femminile, ed è forse l'unica realtà al mondo che non sarà mai toccata dalla teoria gender, proprio perché piace a tutti (senza sottintesi!!!). Distintamente, alla prossima.

      Elimina