Antica e non vecchia, perché l'antico è finito in sé, perfetto, concluso; il vecchio è sorpassato, modificato, in fondo ormai inesistente.
Quello che segue è il primo capitolo di un racconto mai terminato di tantissimi anni fa, mi sembra fosse il '90-'92, ma che a rileggerlo ora potrebbe essere inserito benissimo in quel lavoro di autobiografia narrata che ho in testa da un po' e per cui, in fondo, ho aperto questo nuovo blog.
Ho ritrovato in queste righe un pezzo della mia Calabria, quasi un racconto delle sue radici profonde, quelle contadine, che continuano a vivere anche in questi tempi di internet, paytv e simili.
Ve le propongo così come sono, senza ritocchi. Probabilmente chi non conosce la Calabria faticherà a capire alcune cose, alcune situazioni, ma spiegare con una nota a fondo pagina avrebbe significato tradire la mia memoria e quella della mia gente.
Buona lettura!
Molti
anni prima, era un tempo che minacciava pioggia.
La
lunga processione, dietro la statua del cristomorto, quella del Venerdì Santo,
non sembrava interessata a quello che attorno a lei accadeva. Ognuno col suo
grande, irresolubile problema che nessun politico o prete poteva capire. Ognuno
colla propria vacca che fa poco latte o il figlio handicappato che spacca tutto
quando fuori gli ridono dietro e lo rincorrono e prendono a pietre.
Solo
lui, il cristomorto del Venerdì Santo si potrebbe impietosire (perché si
tratta sempre di avere pietà, mai di giustizia) se l'offerta al prete sarà
adeguata, se la statua calerà perfettamente nella fossa scavata religiosamente,
senza urtare ai bordi, se...
La
lunga processione, silenziosa, camminava tra gli alberi d'arancio, ormai vuoti,
cintati di filo spinato. In testa le sottane nere del parroco e dei chierichetti;
dietro, dopo la varetta della statua, quelle delle donne. In fondo, perché
tutti facessero finta di non vederli, gli uomini, duri e bruni di sole.
Giunsero
nel luogo stabilito e tutto si fermò come ad un comando segreto. I portatori
della varetta (quegli unici uomini che potevano ufficialmente essere presenti,
anzi dovevano), vestiti di un lungo saio nero, avanzarono sino alla grande buca, qualcuno scese dentro con un
salto, gli altri cominciarono ad imbracare di grosse funi la statua. Poi, agli
ordini di un anziano con un gran mantello bianco sull'abito dei portatori,
fecero scendere lentamente il cristomorto nella fossa. A quel punto tutti si
fecero ai bordi e cominciarono, ordinatamente a turno, a lanciare monete e
banconote sulla statua. Chi già aveva offerto si faceva da parte e altri
arrivavano. Durò tutto una decina di minuti, nel più assoluto silenzio, che si
poteva sentire la segheria lontana dopo il bosco.
Enrico
domandò sottovoce al prete: "Non dici niente, una preghiera,
qualcosa?"
Rispose
don Lillo: "No, no, niente, che è qua che ci guadagno qualcosa, senno'
addio."
Capì
che il silenzio faceva parte del rito, perché tutto avvenisse nel modo
tramandato per generazioni, quello che solo fa riuscire ogni desiderio della
gente.
Enrico
non avrebbe riso più di quella risposta dopo qualche anno, quando avrebbe capito
il senso della vita di quella gente.
Anche
quell'anno nessuna vacca fece più latte del solito e nessun figlio deforme
guarì miracolosamente, ma ogni Venerdì Santo poteva essere quello buono e ci
poteva essere un po' di pietà per qualcuno.
Aveva
visto, Enrico, arrivare in paese qualche politico, grande o piccolo, importante
o aspirante tale; nessuno però meritava il rispetto per il cristomorto del
Venerdì Santo, forse perché il cristomorto era persona troppo seria per aprire
bocca a promettere qualcosa se non quello sentito alla domenica a
Messa e ripetuto dal parroco durante le prediche.
In
questa terra di cui è impossibile raccontare storie liete o normali perché un
dio o uomini più potenti di un dio hanno così stabilito, ogni paese ha il suo cristomorto del Venerdì Santo; in ogni paese il tempo si ferma al Venerdì
Santo senza arrivare mai alla Domenica di Pasqua.
Così come ogni paese ha il suo
onorevole o amico d'onorevole, simboli borbonici o papalini sopravvissuti, loro
sì, a terremoti, pestilenze e governi. Ci furono anche liberatori che passarono da lì durante le
guerre di tutti i tempi, ma solo perché era l'unica strada per arrivare a Roma.
Ma
qui ogni viso nuovo potrebbe essere quello di chi libera dal predecessore,
anche se tutti sanno che in fondo solo il cristomorto del Venerdì Santo è
quello che aiuta davvero, forse perché anche lui è morto inseguendo un sogno di
libertà.
Chi,
meglio di uno che ha sofferto come loro?
Qui,
dove tutto è nero e di pietra, le donne sposate e le madonne (solo le notti
sono di stelle e di luna splendente), qui dove il mare è così cattivo che
obbedisce e si fa attraversare solo dai santi, qui continuano a nascere uomini
e a morire bestie.
Molto molto suggestivo.
RispondiEliminaQuindi presumo (in effetti non te l'ho mai chiesto anche se ormai corrispondiamo da parecchi anni) che tu hai vissuto da ragazzo non in qualche capoluogo ma nella Calabria rurale, o quanto meno avevi dei parenti in quelle zone nelle quali magari trascorrevi i periodi di festa (come d'altronde capitava anche a me, quando ero piccolo io le Seychelles e i villaggi vacanze erano ancora "in divenire" ;-)
in verià sono nato in un grosso centro capoluogo e ho vissuto per vent'anni in una cittadina (attualmente capoluogo) sopra i 60mila abitanti. Ma mi sono sempre interessato della vita rurale, un po' per curiosità, un po' perché penso che in calabria non esistano realtà 'cittadine' né tantomeno metropolitane e anche i posti con più di 100mila abitanti siano dei paesi molto cresciuti. Dall'antropologia ho imparato la voglia di andare alle radici e queste vengono, per tutti, dalla campagna. Quando facevo il liceo classico avevo (ora non c'è più... ) un mio 'dizionario greco-calabrese', almeno per quei dialetti specie reggini che sono ancora oggi uguali al greco antico. Infatti molti paesini dell'aspromonte parlano un dialetto identico a quella lingua classica. ma avevo anche appunti delle corrispondenze tra il francesce e i dialetti della zona del vibonese. Poi crescendo purtroppo per tutti questi hobbies non ho avuto più tempo. Ma ora che sto invecchiando mi torna la nostalgia per la storia, le lingue antiche, l'antropologia. Le mie vacanze estive, poi, erano in parte marine (vivevo in un centro bagnato da mare) e in parte montane perché avevamo una casa in Sila, immersa nel verde. Non mi ci fare ripensare...
EliminaDavvero affascinante, il contenuto ma anche lo stile della prosa. Secondo me merita un seguito...
RispondiEliminaGrazie! un seguito veramente non c'è; c'erano un paio di capitoletti, ma sono scritti veramente da schifo, con una storia melensa e senza senso, in stile esistenzialista della peggiore specie, una specie di spremuta ristretta de La Nausea di Sartre. Penso che rimarrà così.
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